venerdì 1 luglio 2011

RIAPPROPRIARSI DELLE PROPRIE ENERGIE

Riappropriarsi delle proprie energie, per far emergere lo slancio creativo che è profondamente insito in tutti noi.
Perché dico che la società sta perseguendo modelli che la portano a un punto in cui non si intravede nessuna via d’uscita?
Perché non sta imboccando la via giusta?
Non si fa che urlare la crisi, la crisi….ma per crisi io intendo, avendola anche vissuta di persona, quando sul mercato mancano le risorse di tutti i generi che servono a soddisfare le esigenze umane, mentre a tutt’oggi queste sono ancora abbondanti, almeno nei paesi sviluppati. Questa abbondanza è assicurata da un apparato di tecnologia di cui siamo in possesso, che è possibile attivare con pochi addetti e che produce beni e servizi a sufficienza. Si può invece parlare di crisi per quanto riguarda il lavoro. Ora, il fine insito nella natura umana non è il lavoro, bensì procurarsi i mezzi per vivere ed evolversi. Fino a tempi recenti era l’energia umana ad essere impiegata per ottenere tali beni, anche se a scapito dell’uomo che non poteva beneficiare di parte della sua energia a scopo di autoriparazione del suo fisico.
Ora ci si sta rompendo la testa per un problema che non esiste. Cercherò di descrivere qual è la mia impressione riportando un esempio tratto dalla mia infanzia. Prima di andare a scuola in prima elementare mi lasciavano in custodia alla masseria dove però avevo l’incarico di zappettare per togliere le erbe negli spazi dei seminativi. La mattina presto, con la brina, il manico della zappulla (una piccola zappa) era freddissimo, e mi avevano fatto capire che era un sacrificio per conquistarsi il paradiso dove non si sarebbe lavorato più.

Più tardi capii che era invece una necessità.
Negli anni ’50 nelle campagne siciliane comparvero le prime macchine trainate dal bue che mietevano il grano. I proprietari dei poderi di una certa dimensione le comprarono, mentre i proprietari dei piccoli poteri non se le potevano permettere, sia per la mancanza di risorse finanziarie, sia per le difficoltà dovute alle dimensioni ridotte dei poderi stessi. Infatti queste macchine non potevano essere utilizzate dappertutto, ma solo dove il terreno era pianeggiante e senza sassi.
Mi venne l’idea di dire al confinante, che aveva la mietitrice, che se lui mi mieteva il mio campo pianeggiante, per ogni giorno che lui avrebbe lavorato da me io avrei lavorato quattro giornate a mietere nei suoi campi dove la macchina non poteva andare. Lui accettò, e questo patto era vantaggioso per me, perché per il prezzo di un giorno di macchina avrei dovuto normalmente mietere per otto giornate, quindi ne risparmiavo quattro. Ho quindi visto in questo evento tecnologico una conquista che consentiva di sollevare la condizione umana dal duro lavoro e anche una liberazione da quello stato, mentre per altri braccianti era palpabile il timore che la macchina facesse perdere loro il lavoro.
E’ quindi un grande progresso che il mercato sia stato rifornito con poco impegno e fatica da parte dell’uomo. Ma invece di riappropriarsi delle sue energie così liberate, l’uomo si è messo a produrre beni superflui, ovvero stupidi, danneggiando sé stesso e l’ambiente. A questo punto si può dire che la frittata è stata fatta. Come uscirne fuori? Non mi sembra che i governi stiano cambiando le tattiche strategiche. Che senso ha cercare di procurare lavoro alle persone, per produrre cosa, se il mercato è già stato soddisfatto? Ma è anche vero che per accedere al mercato ci vogliono i soldi.
Una soluzione sarebbe di lavorare tutti meno ore. In tal modo l’individuo avrebbe maggior tempo libero a disposizione che potrebbe impiegare per fare emergere lo slancio creativo che è profondamente insito in tutti noi (Si veda a questo proposito il libro “La Medicina del Buon Senso” di Céline Arsenault).
Salvatore Furnari

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