venerdì 31 marzo 2017

PUTIN E LA FILOSOFIA

Massimo Bordin

NON SOLO I BRICS

Il B.R.I.C.S. è un acronimo di cui si parla sempre di più in economia, essendo un'associazione internazionale composta da cinque paesi tra le maggiori economie emergenti del mondo: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
L’associazione si propone di costruire un sistema commerciale globale attraverso accordi bilaterali che non siano basati esclusivamente sul petrodollaro.
Il termine venne usato per la prima volta nel 2001 in un report della banca d'affari Goldman Sachs. Secondo la relazione degli analisti americani, Brasile, Russia, India e Cina domineranno l’economia mondiale nei prossimi decenni. Per Goldman Sachs, il Pil dei paesi Bric (all’epoca non venne considerato il Sudafrica) avrebbe raggiunto quello di Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia ed Italia entro il 2050.
I Paesi Brics, dopo il 2010, hanno aumentato la loro influenza dentro il Fondo Monetario Internazionale e poi si sono creati una loro struttura finanziaria autonoma (la New Development Bank). Gli Stati Uniti si sono trovati allora in una situazione economica difficile e per la quale il loro monopolio viene messo in discussione. Dopo l’affermazione politica di Vladimir Putin, in Russia questa difficoltà ha subito una forte accelerazione.
Prima di Putin, infatti, le economie di Cina, Russia, India e Brasile non rappresentavano un problema di concorrenza, anzi, stavano per diventare ottimi bacini di consumo dei prodotti americani. A livello politico, soprattutto, la Russia era ridotta al lumicino ed è per questo che si può affermare che per quanto riguarda la storia russa recente esiste un prima di Putin e un dopo Putin.
Una sola immagine rende bene l’idea della subordinazione dei russi agli americani durante gli anni ’90: quella del Presidente Boris Eltsin che si rotola sotto i tavoli ubriaco ripreso dalle telecamere. Una scena umiliante per tutto il popolo russo e sintesi di un’epoca, quella immediatamente successiva alla Caduta del Muro, con i russi sbigottiti, spaesati, acriticamente persuasi che i valori della ricchezza e del consumo fossero ormai gli unici possibili. In questa fase di interregno, prosperarono i nuovi russi, gli oligarchi che presero al balzo la fase di crisi e sfruttarono le enormi risorse minerarie della regione eurasiatica per trarne profitto personale.
Ma da dove uscivano questi russi ricchi e dediti al lusso che erano vissuti fino all’età matura in un Paese dove sembrava assai diffusa la povertà e bassissimo il tenore di vita delle popolazioni?
Gli oligarchi vengono così chiamati dall’opinione pubblica russa, che utilizza un termine caro alla filosofia greca e ad Aristotele in particolare, per il quale l’oligarchia è una forma di governo degenerata dell’aristocrazia, normalmente tradotta con l’espressione “governo di pochi”.
In Russia però, più che di un ristretto gruppo di politici, si tratta di uomini d'affari che si sono impadroniti delle maggiori risorse dell’ex Unione Sovietica durante le caotiche privatizzazioni portate avanti da Eltsin negli anni Novanta. Questi manager postcomunisti si sono avvalsi dei legami che avevano con la nomenklatura sovietica per fare incetta di Voucher, cioè dei titoli distribuiti a ogni cittadino russo per acquistare quote delle imprese statali russe in via di privatizzazione. In altri termini, grazie a risorse varie e soprattutto agli agganci con l’alta burocrazia russa, alcuni yuppies dell’est si sono impadroniti di società russe che durante il comunismo gestivano risorse petrolifere, gas e industrie pesanti. Come scrive lo storico italiano Sergio Romano, “divenuti proprietari, hanno accumulato rapidamente colossali fortune e protetto la loro nuova ricchezza creando o comperando due utili strumenti: le banche, indispensabili per manovrare il denaro, e i mezzi d' informazione, necessari per condizionare il potere politico e tenere a bada gli avversari”.
Il segretario esecutivo del Consiglio della Comunità degli Stati Indipendenti Boris Berezovskij, quando Putin divenne Primo ministro su indicazione di Eltsin nel 1999, era anche e soprattutto un uomo d'affari: trafficava con i ceceni, frequentava la famiglia presidenziale e la casa bianca russa e, per dirla con l'ex ambasciatore Sergio Romano, “elargiva generosi favori finanziari”.
Gli altri oligarchi - fra cui Roman Abramovic, Vladimir Gusinskij, Michail Chodorkovskij, Platon Lebedev, Leonid Nevzlin, Michail Gutseriyev – concentravano la loro attività nella gestione delle materie prime di cui la nazione è ricchissima, gas e petrolio soprattutto, condizionando la vita pubblica attraverso organi d'informazione di loro proprietà o sui quali esercitavano un forte ascendente.
Dopo il repulisti putiniano, per la maggior parte degli oligarchi russi la vita è decisamente cambiata: Berezovskij è morto suicida, a Londra; Gusinskij vive nel benessere, ma in Spagna, Nevzlin a Tel Aviv. Chodorkovskij e Lebedev hanno fatto anni di prigione, Gutseriyev ha trascorso diverso tempo in contumacia perché su di lui pendeva un mandato di arresto da parte della magistratura russa.
Non mancano i commentatori, in Occidente come in Russia, che hanno colto anche diversi limiti in questa operazione di pulizia. In Italia, ancora Romano sottolinea ad esempio che “l'operazione sarebbe stata encomiabile se Putin non avesse colpito i suoi nemici (in particolare Chodorkovskij), ma lasciato licenza di lavorare e prosperare a tutti coloro che accettavano di venire a patti con il Cremlino”. Da tutta questa spiacevole vicenda emerge con chiarezza che l'Urss, frettolosamente derubricata in Occidente a regno della miseria, aveva lasciato un tessuto industriale potente e strutturato, se non altro meritevole di essere saccheggiato da alcuni furbetti della vecchia e della nuova nomenklatura. Putin ha creato le condizioni perché alcuni di costoro finissero in grossi guai giudiziari (Chodorkovskij e Lebedev su tutti); altri se la sono cavata molto bene e ancora oggi godono delle risorse ottenute grazie ai vecchi privilegi.
Il forte consenso guadagnato da Putin presso l'opinione pubblica, tuttavia, dimostra come il leader di Russia Unita sia riuscito a mettere fine al caos che le bande di oligarchi ed i comitati d'affari erano riusciti a scatenare verso la metà degli anni Novanta. L'interregno che caratterizzò l'era tra Gorbaciov e Putin, infatti, somigliava più al Far West americano o alla Sicilia dei Corleonesi che ad un paese evoluto: pochi e ricchissimi uomini d'affari protetti da milizie private e guardie del corpo pronti a salvaguardare interessi privati a danno di quelli pubblici e ad eliminare anche fisicamente gli avversari.
Ciò che di rado si chiedono in Occidente è come Putin sia riuscito nell’impresa e quale sia la sua visione dell’economia russa. Da questo punto di vista, egli non è tanto diverso dai leader sovietici che lo hanno preceduto o da alcuni Zar illuminati, come Pietro Romanov, e con buona pace di chi al contrario vedeva in Putin un fautore del capitalismo selvaggio. Egli è convinto, più propriamente, che la Russia per caratteristiche geografiche e culturali vada trasformata e modernizzata attraverso una rivoluzione dall’alto e che ciò si potrà fare solo se la politica, e non il mercato, controllerà le immense risorse naturali del paese.
Se è vero che in Russia non c’è ancora una classe media paragonabile alla nostra, è parimenti sicuro che con Putin i ceti più poveri hanno visto un incremento notevole del loro tenore di vita. Anche l’occupazione è cresciuta grazie al controllo nazionale di gas e petrolio. In aggiunta a questi dati macroeconomici, la Federazione si è dotata di uno strumento – chiamato Fondo di Stabilizzazione – molto simile a quello creato negli anni scorsi da paesi scandinavi ricchi di materie prime, come la Norvegia. Il Fondo gode di accumuli periodici in valuta di riserva e funge un po’ come un’assicurazione per l’economia russa in grado di garantire che i periodi di contrazione siano meno pericolosi. Da qualche anno i sondaggi attribuiscono al presidente Putin un altissimo consenso popolare anche nei periodi di maggior tensione internazionale e di riduzione del Pil.
Con lo smantellamento del sistema oligarchico Putin ha iniziato un nuovo corso, smarcando il sistema capitalistico russo dal sistema finanziario internazionale che in gran parte dipende dalle élites americane, israeliane ed europee. In tal modo, Mosca non ha solo ridimensionato gli affari di queste élites, ma ha anche affermato un modello economico antiliberista, perché basato sul controllo da parte dello Stato delle produzioni maggiormente significative. In America ed in Europa, su questi specifici temi economici, vige un’ideologia completamente opposta a quella di Putin, perché le grandi società finanziarie, industriali e delle materie prime favoriscono e determinano il consenso della politica. Anzi, si può dire che la politica occidentale sia oggi essa stessa a disposizione di pochi gruppi economico-finanziari, e non viceversa, come ampiamente dimostrato dal lungo progetto di privatizzazione in atto in Europa dai tempi della Caduta del Muro di Berlino ad oggi. Comunicazioni e trasporti, armamenti e risorse idriche, riciclaggio dei rifiuti e idrocarburi: oramai in Europa ogni bene di pubblico interesse appartiene ad azionisti privati raggruppati in holding finanziarie internazionali il cui unico scopo è trarre profitti di breve-medio termine per un ristrettissimo numero di soggetti. In Russia no.
Risultano pertanto distratti, o in forte malafede, quegli analisti che considerano il modello economico russo identico a quello occidentale di oggi, dopo la morte del comunismo. Anche se l’economia russa si basa su grandi disparità di censo, su competizione e consumo, gli organismi politici che hanno espresso un Presidente come Putin conservano un grado di autonomia superiore al nostro.
A questa
differente impostazione in campo economico, che ricorda seppure in modo vago la socialdemocrazia norvegese, si deve aggiungere che la Russia, ben più dell’altro futuro concorrente al sistema atlantico, la Cina, possiede una capacità nucleare - e quindi bellica - identica se non superiore a quella occidentale. Sul numero di carri armati, aerei e uomini disponibili, cioè sulle armi convenzionali, gli studi non convergono, ma tutti concordano sulla capacità nucleare della Russia. Come ha sottolineato Putin stesso, “noi siamo l’unico paese, oltre l’America, a possedere la «triade nucleare», cioè a poter intervenire sulla terra, in aria e nell’oceano. E le nostre armi sono uguali alle loro sia per potenza che per numero, ed è proprio questa uguaglianza che decide i rapporti di forza anche a vantaggio della Russia”.
All’indomani della disgregazione dell’Urss, il potenziale bellico russo era ancora in grado di concorrere con quello americano, ma lo stesso non poteva dirsi del potenziale ideologico. Quando Boris Eltsin, già Sindaco di Mosca, divenne Presidente dello Stato Russo egli diede vita ad un governo appiattito sulle posizioni americane, sia in politica estera che in quella economica. Per quanto riguarda l’economia, come si è già detto, Eltsin ed il suo gruppo dirigente iniziarono una serie di privatizzazioni dei beni pubblici russi a favore di singoli uomini d’affari. Negli stati cintura della Russia, invece, si accettò la pratica della nascita di nuovi Stati autonomi da Mosca in nome di un vecchio principio caro a Woodrow Wilson fin dall’inizio del Novecento, quello dell’autodeterminazione dei popoli.
In base a questo principio, i popoli potevano decidere autonomamente di scindersi gli uni dagli altri sulla scorta di riferimenti culturali, linguistici, religiosi, territoriali. Se nel Novecento questo principio portò alla disgregazione degli imperi centrali dopo la Prima Guerra Mondiale, negli anni Novanta del secolo scorso, l’autodeterminazione dei popoli comportò la nascita di nuovi stati nell’Europa dell’Est, come Lituania, Estonia, Lettonia, Ucraina, ma anche Croazia, Slovenia, Bosnia.
Privata di alleati, la Russia di Eltsin si trovò in affanno anche sotto il profilo geopolitico e dovette affrontare grossi problemi interni di natura economica: il fallimento della shock therapy

giovedì 30 marzo 2017

IL RISVEGLIO DELLA FORZA

IL RISVEGLIO DELLA FORZA
«Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati». (Bertold Brecht)

Nuovi barbari si aggirano per il Mondo e il loro capo si chiama Vladimir Vladimirovic Putin. Amatissimo in patria e spesso paragonato ai condottieri orientali antichi, la figura del Presidente russo incute in Occidente sospetto e timore più che simpatia e fiducia, e come è già capitato ad altri uomini politici russi, alla sua figura sono stati associati concetti negativi come dittatura, oscurantismo, dispotismo e tirannide. Questo accade almeno da quando – dopo le dimissioni di Eltsin del 31 dicembre 1999 - le elezioni in Russia portarono alla vittoria questo giovane dirigente ex funzionario del Kgb e consulente del Sindaco di San Pietroburgo. Molto diverso dal suo predecessore, più giovanile e composto, all’apparenza freddo e riservato, il nuovo presidente russo ha instaurato con i vicini di casa dell’occidente Atlantico un rapporto del tutto nuovo e paritario, in apparenza aggressivo e comunque poco incline alle concessioni amichevoli.
Le televisioni di tutto il mondo negli anni Novanta ci avevano abituato alle pacche sulle spalle tra la dirigenza russa, allora rappresentata da Boris Eltsin, e quella americana guidata dall’emergente democratico americano Bill Clinton. Verso la fine di quell’era, gli scambi telefonici tra politici anglosassoni di alto rango - resi noti solo ora - rivelano un giudizio sul nuovo entrato Vladimir Putin di universale ammirazione. Eppure, persino durante la lunga Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nessuno aveva mai osato parlare pubblicamente del segretario generale del Pcus come gli occidentali hanno fatto di recente con il Presidente Putin, offendendolo personalmente ed etichettandolo come un “assassino”.
Accanto all’atteggiamento di diffidenza e paura, sempre più persone tuttavia anche in Occidente stanno guardando al nuovo “orso russo” ed ai suoi artigli affilati come ad un interessante possibilità di alternativa e sviluppo. Ciò che si registrava prima e per lungo tempo a destra, ora avviene di frequente anche tra le schiere degli eretici di sinistra; in tutta Europa e negli Stati Uniti non mancano quelli che individuano in Putin l’Homo Novus, l’unico politico capace di interpretare il plurisecolare spirito russo, da sempre malinconico e temprato alle avversità, in bilico tra un Ovest dinamico e innovativo e la tradizione millenaria legata alla terra della Santa Madre Russia. In Europa, e per la prima volta, qualcuno comincia a guardare a Putin come ad un portatore di senso. In alcuni casi, attraverso un sorprendente rovesciamento delle opinioni, si assiste persino ad una esaltazione personalistica della figura del Presidente russo, con proliferare di fan club, vignette, film documentari e magliette celebrative. La vicenda ha del curioso quando non anche del grottesco: da un lato si legge e si ascolta il mantra dell’informazione ufficiale concentrata sul Putin cattivo ed aggressore, quello che limita le libertà civili, imprigiona le neofemministe e ostacola antidemocraticamente le opposizioni; dall’altro, tramite i link della Rete che si diffondono attraverso i social network, Putin viene ritratto sempre più spesso come un liberatore. Con questo recente e inedito punto di vista, il leader russo simboleggia il vento dell’Est che soffia sull’Occidente per spazzar via marciume e putredine, decadenza e sudditanza all’imperialismo americano.
Insomma, si ha a che fare con un despota profittatore uscito dalle oligarchie sovietiche, o con una bussola di nobili valori per l’Occidente fiacco e asservito?
Occorre resistere alla tentazione di scimmiottare gli ultrà del calcio ed evitare i due atteggiamenti oggi prevalenti: il tifo per Putin il Buono o quello per Putin il Cattivo, perché sono distanti solo in apparenza mentre in realtà rappresentano due facce della stessa medaglia e, così esercitati, non consentono di collocare correttamente il fenomeno.
Meglio inoltre evitare di giudicare lo statista russo solo sulla scorta dei suoi atti singoli, senza tenere conto della storia della Russia nel suo insieme, dallo zarismo al comunismo, dalla guerra fredda alla perestroika, dalla disgregazione dell’Urss alla guerra cecena.
oprattutto, capire Putin significa capire il popolo russo, e questo non si può fare senza tenere debitamente conto dei fatti avvenuti dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989
La pera matura cade da sola. Ancora per poco.
DIO E' INNOCENTE (PLATONE).

IL GIOCO E' FATTO.doc | JURI- L'uomo formatosi nella Scuola ...

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IL GIOCO È FATTO. La Geometria Frattale Per Lo Studio Dell'evoluzione Del Cervello. Sentendo l'intervista di Maurizio Ferraris, apprendo che sono attivi due ..

lunedì 27 marzo 2017

PREFAZIONE
     
     
     «Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero Re o che i Re fossero filosofi». (Platone).
     
     Il grande regista Alfred Hitchcock amava ripetere che “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film” e siccome il Cinema mostra meglio di ogni altra forma artistica contemporanea il modo attraverso il quale rappresentiamo i nostri desideri e le nostre fantasie, ecco che la necessità di individuare un cattivo sul quale riversare le colpe è passata dagli studi di Hollywood al mondo reale, mantenendo però le spettacolari vesti della finzione. La scelta politica occidentale di affibbiare il ruolo del cattivo al Presidente russo ha assunto negli anni toni sempre più falsi e irrazionali, fino a sfiorare il ridicolo.
     Per gli Americani e gli Europei, Putin ha aggredito l’Ucraina, ha annesso la Crimea con la forza, ha abbattuto un boeing malesiano. Non solo. Per i nostri media Putin ha fatto fuori Alexander Litvinenko con il polonio, ha ammazzato la giornalista Anna Politkovskaja, ha eliminato Boris Nemtsov. Anche se le cantanti Pussy Riot tengono conferenze e concerti in tutto il mondo, per l’opinione pubblica occidentale Putin le avrebbe fatte imprigionare buttando via le chiavi della cella. Per l’opinione pubblica internazionale, mentre commetteva tutti questi crimini, novello James Bond, Putin si preparava ad assaltare la Siria ed i Paesi Baltici.
     Chi segue il motto socratico per il quale “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”, non può accettare un simile livello di menzogna senza cercare di comprendere i reali motivi di un atteggiamento che palesemente sconfina nella psicosi.
     Ad indurmi a scrivere un libro su Putin, tuttavia, è stata la convinzione – all’inizio solo un’impressione – che nei discorsi originali e nelle gesta di Vladimir Putin fossero presenti analisi e riflessioni tipiche della filosofia, non solo di quella russa ispirata da Tolstoj e Dostoevskij, ma anche di quella greca, dell’idealismo classico tedesco e del pensiero orientale Zen. Più approfondivo la questione e più trovavo conferme a questa sensazione e, siccome da molti anni la filosofia è il mio mestiere, ho ricostruito il complesso profilo filosofico di Putin nella consapevolezza che osservando il labirinto di quel percorso, noi Europei possiamo ritrovare anche un pezzetto della nostra strada. Un foglietto d’istruzioni per affrontare le difficoltà della vita. Forse, le nostre possibilità perdute.
     Nei film hollywoodiani ove compaiono dei russi, non mi ha mai sorpreso il fatto che il nemico da sconfiggere sia un automa con gli occhi di ghiaccio e senza sorriso, perché questo fa parte della classica rappresentazione del cattivo che ad ogni regista viene spontaneo riprodurre: un killer freddo, disumano, serio, occhio vitreo. Tuttavia, nei film occidentali sulla Russia, tutto è stereotipato e negativo, non solo il cattivo, e ciò fin nei minimi dettagli. Nelle produzioni cinematografiche europee e statunitensi viene trasmessa l’immagine di quella fetta di mondo chiamata Russia dove sono tutti ubriaconi, inclini alle risse, privi di qualsiasi empatia verso gli altri. I russi buoni, quei pochi, sono spesso dei traditori un po’ tonti che parlano male del loro Paese; le donne sono tutte sessualmente disinibite e prede di facile conquista. In Russia, per Hollywood, fa sempre brutto tempo. Anche se il Paese si articola attraverso 9 fusi orari e in Siberia meridionale, in alcuni periodi dell’anno, si superano i 35 gradi, in Russia nevica sempre e gli abitanti annaspano col colbacco tra freddo gelido e raffiche di vento. Poco importa che San Pietroburgo sia stata disegnata da architetti italiani che conoscevano le regole della prospettiva; per i lombrosiani di Hollywood i residenti delle città russe sono tutti poveri ed i palazzi dei tristi casermoni. I pochi ricchi, invece, sono sempre dei mafiosi che non ridono mai e, se lo fanno, stirano le labbra a mostrare tutti i denti, come il Joker di Batman. Se fosse un colore, la Russia sarebbe il grigio.
     Questo modo di rappresentare i nostri “vicini di casa” è già di per sé emblematico del rifiuto, da parte nostra, di intraprendere un qualsiasi dialogo o confronto, e del livello di menzogna nel quale questi vicini sono stati da noi relegati. Tuttavia, analizzando il fenomeno Putin, non è nemmeno questo l’aspetto più interessante da considerare. Mentre nessun uomo di mondo crede più che i pellerossa fossero crudeli solo perché Hollywood li ha rappresentati così, nessuna riflessione disincantata viene fatta quando si parla di Vladimir Putin.
     Perché? Per quale motivo anche gli intellettuali in Occidente accettano che Putin venga raccontato nelle forme più demenziali e irrealistiche? Il fatto è che l’Occidente vuole credere all’inganno della narrazione propagandistica, vuole vedere la Russia e Putin come un mitologico altro da sé.
     Per restare entro metafore cinematografiche, è come se noi cercassimo di conoscere la Russia ingoiando la pillola blu di Matrix, quella che non consente di conoscere la verità, ma obbliga a rimanere immersi nelle nostre illusioni e patologiche bugie.
     Durante la guerra Fredda si sono scontrate due ideologie, il capitalismo ed il comunismo. Dopo il 1989 è rimasta in piedi un’unica ideologia, che però, in occasione della sua vittoriosa affermazione, si è profondamente trasformata. L’ultracapitalismo attuale non è assimilabile al capitalismo novecentesco: mentre il capitalismo classico teneva distinte l’educazione, la politica e l’etica dall’economia, l’ultracapitalismo riduce tutta la realtà a scambio economico e si riassume nel consumo illimitato di merci, servizi e relazioni.
     Molti occidentali che durante la Guerra fredda avevano esercitato il loro spirito critico contrastando il modello capitalistico, dopo l’89 hanno finito per aderire completamente a quel modello. L’unica rivendicazione politica che è stata mantenuta in Occidente riguarda le libertà individuali, ma si tratta di libertà per modo di dire, dato che nessuna libertà è possibile senza prima l’emancipazione economica. La sinistra in Occidente lancia un messaggio di questo tipo: possiamo lottare per qualsiasi cosa e rivendicare di tutto (uguaglianza, allargamento del suffragio, inclusione dei migranti, diritti dei gay), ma vogliamo tenerci l’essenziale, ovvero il funzionamento senza ostacoli del libero mercato globale e pertanto, la rivendicazione di riforme economiche radicali passa in secondo piano.
     Questa nuova ideologia ha come principale caratteristica quella di non manifestarsi apertamente, di rimanere nascosta. Nella sua brutalità, l’ideologia occidentale al potere si è resa irriconoscibile. Con l’arrivo al potere di Vladimir Putin è arrivata un’alternativa a questo modo di pensare e di agire che è, invece, immediatamente riconoscibile, pur non ripetendo la formula del comunismo così come lo abbiamo conosciuto.
     Cosa accade se arriva qualcuno la cui leadership è così strutturata da mettere in discussione l’unico modello esistente? Cosa accade se il modello occidentale non rimane più l’unico possibile, ma trova nuove formule alternative e ostative?
     Il caso di Putin e della Russia di oggi è emblematico: l’occidentale che ha prima contrastato il modello liberista e poi ha rielaborato il lutto della sconfitta “passando dall’altra parte” ora vede arrivare un modello alternativo che torna a minare le sue sicurezze. Succede come nello stereotipo di quei film dove l’amato disperso e ritenuto morto a causa di una guerra o di un evento catastrofico, torna a casa dalla sua donna che però, nel frattempo, stanca di aspettare, si è ricostruita una vita con un altro uomo. Lei, di solito, prova ancora un sentimento per l’amante ritornato, ma lo rifiuta perché nel frattempo “si è fatta un’altra idea della propria esistenza”.
     Nel valutare l’avvento politico di Putin il meccanismo psicologico è simile ed ha a che fare col nostro inconscio. La Russia di Putin è l’inconscio dell’Occidente, con l’aggravante che, rispetto all’inconscio individuale studiato in psicanalisi, esso emerge in tutta la sua forza dalla superficie della storia e sbatte in faccia all’Occidente le sue contraddizioni. Ciò è inaccettabile e va coperto con la menzogna e la denigrazione

venerdì 24 marzo 2017

PUTIN E LA FILOSOFIA
Massimo Bordin
«Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero Re o che i Re fossero filosofi». (Platone).
Il grande regista Alfred Hitchcock amava ripetere che “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film” e siccome il Cinema mostra meglio di ogni altra forma artistica contemporanea il modo attraverso il quale rappresentiamo i nostri desideri e le nostre fantasie, ecco che la necessità di individuare un cattivo sul quale riversare le colpe è passata dagli studi di Hollywood al mondo reale, mantenendo però le spettacolari vesti della finzione. La scelta politica occidentale di affibbiare il ruolo del cattivo al Presidente russo ha assunto negli anni toni sempre più falsi e irrazionali, fino a sfiorare il ridicolo.....CONTINUA..........
IL GRANDE BAMBINO: FILM.................................
Era il giugno del 1943, in pieno conflitto bellico durante la seconda guerra mondiale.
Alle pendici dell’Etna, nelle valli che guardano a sud, due carabinieri a cavallo che perlustravano il territorio raccontavano ai contadini della zona che avevano incontrato un bambino che ragionava come "uno grande".
Le leggi fasciste allora vigenti imponevano ai coloni-mezzadri di consegnare tutto il raccolto del grano agli organi competenti, i quali, in un secondo momento, assegnavano ad ogni famiglia il quantitativo spettante in base al rispettivo numero dei componenti.
Ma il grano assegnato l’anno precedente alla mia famiglia non era stato sufficiente per arrivare al tempo della distribuzione del nuovo raccolto.
Mio padre, per porre rimedio momentaneo a quella situazione di fame, mieté un po’ di spighe di grano nel campo, le sgranò, mise i chicchi in una bisaccia che mi diede per portarla al mulino, dove il grano sarebbe diventato farina per fare il pane.
All’epoca avevo appena nove anni.
Durante il tragitto verso il mulino mi imbattei in due carabinieri a cavallo i quali, rispettosi delle leggi, mi sequestrarono il frumento e pure la bisaccia.
Invano dissi loro: “Siamo sette figli e a casa e non c’è niente da mangiare. Cosa c’è di male se prendiamo un po’ di grano in anticipo per allontanare la fame?”.
Mi ascoltarono, ma le mie parole non valsero a convincerli a chiudere un occhio e a lasciarmi il grano.
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giovedì 23 marzo 2017

«Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero Re o che i Re fossero filosofi». (Platone).

Il grande regista Alfred Hitchcock amava ripetere che “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film” e siccome il Cinema mostra meglio di ogni altra forma artistica contemporanea il modo attraverso il quale rappresentiamo i nostri desideri e le nostre fantasie, ecco che la necessità di individuare un cattivo sul quale riversare le colpe è passata dagli studi di Hollywood al mondo reale, mantenendo però le spettacolari vesti della finzione. La scelta politica occidentale di affibbiare il ruolo del cattivo al Presidente russo ha assunto negli anni toni sempre più falsi e irrazionali, fino a sfiorare il ridicolo.....CONTINUA..........

mercoledì 22 marzo 2017

Persone con interesse cinematografico.
Tutti i membri possono attingere al materiale pubblicato: opere di JURI l'uomo formatosi nella scuola universale allo scopo della realizzazione di un film, che possa aiutare l'umanità nell'attuale transizione che stiamo vivendo. Come dimostrato nell'intero materiale contenuto nelle opere pubblicate sulle pagine e sui siti dell'uomo della nuova era , che ha un riscontro scientifico.
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sabato 18 marzo 2017

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martedì 14 marzo 2017

IL GRANDE BAMBINO.







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domenica 12 marzo 2017




Papa Francesco continua a dimostrare che è venuto come capo dello Stato del Vaticano per tirare l'orecchio di alcuni cattolici che hanno bisogno di pensare di più…
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mercoledì 8 marzo 2017

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Data giovedì 9 marzo 2017
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martedì 7 marzo 2017

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Papa Francesco: E ” meglio essere un ateo che un ipocrita cattolico ‘

domenica 5 marzo 2017


Papa Francesco: " E'  meglio essere un ateo che un ipocrita cattolico "

8 min ·


Papa Francesco continua a dimostrare che è venuto come capo dello Stato del Vaticano per tirare l'orecchio di alcuni cattolici che hanno bisogno di pensare di più…
pianetablunews.it.

LA MACRABA SCOPERTA, AVVENUTA IN IRLANDA, DI UNA FOSSA COMUNE,
CON PIU' DI SETTECENTO CADAVERI DI BAMBINI, IN UNA STRUTTURA RELIGIOSA E TU CHE DIMOSTRI CHE SEI IL CAPO DELLO STATO DEL VATICANO E LE TIRI  LE
L'ORECCHIE AI CATTOLICHE CHE ANNO COMMESSO QUESTE MACABRE SCOPERTE. 

IO DICO CHE TU BERGOGLIO NON VIVE NEL MONDO REALE? LA STIRATA DELLO ORECCHIO LA HO AVUTO ANCHE IO  QUANDO ERO BAMBINO, PERCHE GIOCANDO HO URTATO LA QUARTARA CHE CONDENEVA L'ACQUA DA BERE E SIE ROTTA, MA IL TUO CASO E' TERIFICANTE, HANNO MOSSO LO STATO DELLE  COSCIENZE ELEVATE DI ALCUNI PERSONE E SONO LORO A PRENDERE LE DECISIONE DEL DA FARE.............

domenica 5 marzo 2017

Papa Francesco: E ” meglio essere un ateo che un ipocrita cattolico ‘

8 min ·
Papa Francesco continua a dimostrare che è venuto come capo dello Stato del Vaticano per tirare l'orecchio di alcuni cattolici che hanno bisogno di pensare di più…
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