domenica 6 ottobre 2013

Io facevo di tutto affinché i miei giochi piacesserò a Dio

IL MISTERO
Da bambini, quando per le strade sterrate del quartiere giocavamo prendendo la terra con le mani, gli adulti ci dicevano che eravamo venuti al mondo dal cielo e che Dio , tramite un angelo, ci aveva portato alle nostre mamme.
Per tale convinzione, il mio punto di riferimento non erano mio padre e mia madre, ma il Dio nel cielo.
Il cielo mi affascinava e spesso vi rivolgevo il mio sguardo, come se ogni mia azione fosse vista da Dio che tutto osservava da lassù.
Io facevo di tutto affinché i miei giochi  piacesserò a Dio ed Egli mi dicesse bravo.
Mi ricordo che avevo più o meno l’età di cinque anni quando, dopo un lungo periodo di permanenza in campagna, un giorno, assieme a mio padre e ai miei fratelli più grandi, ritornavamo a casa dove c’era la mamma ad attenderci con i fratellini più piccoli.
Ma la mamma a casa non c’era, e poiché la chiave di casa era una e l’ aveva la mamma con se, non potevamo entrare.
Mio padre mi mandò a cercare la mamma a casa di una zia per vedere se fosse lì, ma non trovandola, feci il giro, inutilmente, delle case di tutte le altre zie.
Ritornai a casa mia e vidi che la mamma era già rientrata e assieme agli altri era intenta a scaricare le masserizie dal carro.
La mia permanenza in campagna era stata di oltre due mesi e non appena la mamma mi vide, mi corse incontro, mi abbracciò e mi baciò molto amorevolmente; così feci anche io. La mamma desiderava ancora stringermi a se, ma io fui schivo; il mio pensiero era al carro con le masserizie che dovevano essere scaricate. Non volevo che la mamma mi coccolasse più di tanto e mi facesse apparire ridicolo agli occhi di Dio che dal cielo controllava ogni mia mossa.
Ero convinto che Dio ammirasse molto la mia bravura nel fare le cose, mentre, durante la preghiera , mi sembrava di apparire ridicolo ai suoi occhi. Avevo l’impressione che Dio non amasse tanto quel fiume di parole che, a volte senza senso, venivano proferite.
Intanto crescevo e all’età di sei, sette anni, dai compagni più grandi, appresi, con un po’ di sorpresa che anche io venni al mondo così come capita ai capretti e ai vitelli.
La cosa mi sembrò strana, ma non le diedi peso, ormai la mia psiche aveva preso una forma universale.

Salvatore Furnari


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