mercoledì 12 ottobre 2016

MERIDIONE E DINTORNI

MERIDIONE E DINTORNI

Da troppi anni ormai (è quasi l’arco di un’intera vita) non si sente parlare che di Sicilia e di Mezzogiorno, argomento che ha riempito le pagine di molti giornali senza tuttavia cambiare di tono e senza dire nulla di veramente nuovo.
Un meridionale può chiedersi se questo non suoni offesa alla dignità umana, costatando che il problema, da molti anni a questa parte, è rimasto sempre lo stesso.
La disgregazione socio-economica è ancora in atto e l’impatto con la nuova realtà può essere anche dannoso. È necessaria non tanto la rassegnazione quanto l’esatta valutazione del fallimento, ammettendo che la causa di esso consiste di una precedente serie di errori di valutazione.
In sostanza le cose sono andate così. Non c’è stato un modello di sviluppo produttivo che si adattasse al comportamento dei meridionali.
Negli anni ’50 quella società prevalentemente contadina fa uno sforzo immane per sollevare e migliorare la condizione dei figli liberandoli da quello stato di sottomissione e di lavoro sempre al limite della sopravvivenza.
L’avvio allo studio, il conseguimento di un titolo di cultura superiore, è stato il fiore all’occhiello di una classe contadina severa e statica nello stesso tempo.
Ma il fiore all’occhiello del padre contadino è stato tale anche per i suoi apporti culturali innovatori della società?
Non ha forse fallito l’obiettivo di fondo per cui il padre, anche incosciamente, l’aveva destinalo?
Molti intellettuali meridionali di debbono chiedere se sono stati l’elemento rinnovatore della società e della cultura della loro regione.
Essi non hanno saputo produrre modelli di sviluppo e di convivenza sociale che, adattandosi al proprio ambiente, abbiano avuto la forza di migliorare.
La chiusura e la passività, l’autoesclusione dei più diretti interessati è responsabile di una certa misura di quella carenza di coesione tra le varie componenti della società in cui ha avuto modo di svilupparsi e affermarsi il fenomeno negativo e disgregativo della bruttezza (mafia).
La Società industriale e tecnologica infatti cresce là dove esiste un concorso organizzato di tutte le parti sociali e una strategia globale di tutto il sistema. L’azione combinata è venuta a mancare e con essa uno sviluppo moderno delle società meridionali.
Si è ricalcata la vecchia strada della separazione dei ruoli tra l’intel-lettuale e il tecnico o il lavoratore, chiudendo il primo nel suo mondo astratto e improduttivo e impedendo il formarsi di un atteggiamento o di una filosofia operativa e attiva capace di unificare e organizzare gli sforzi.
Sono venuti perciò a mancare i presupposti che avrebbero permesso lo sviluppo e sbloccato l’inerzia.
Oggi la società meridionale sta vivendo una filosofia retroattiva perché i modelli di sviluppo che cerca sono superati essendo ormai passato il loro periodo storico.
L’indispensabile flessibilità per adattarsi alle nuove esigenze e ai veloci mutamenti è assente nella società meridionale, piuttosto rigida e lenta.
E di riflesso, anche la coscienza si evolve con difficoltà, legata com’è dalle circostanze esterne.Non è perciò maturata la famigliarità di lavorare con i nuovi mezzi della moderna tecnologia e manca anche la disinvoltura di vivere e lavorare, impediti come si è spesso dall’intralcio dell’”imbecillità burocratica”.

Salvatore Furnari

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.